Andrà in scena in prima nazionale ad Acquedolci il 25 luglio alla Grotta di San Teodoro, “ST1 – La Prima Donna” spettacolo teatrale inserito nella rassegna culturale “Il sorriso del Dei” a cura del Parco Archeologico di Tindari. La premessa è la visita al sito archeologico, alle 19,30 a cui seguirà lo spettacolo alle 20,30. Una storia che viene da lontano, 15.000 anni fa, e che ancora oggi ci parla di noi: è questa la suggestione al centro dello spettacolo per la regia di Ruben Monterosso, che firma anche l’adattamento teatrale dal racconto di Marina Romeo.
Lo spettacolo prende ispirazione da una straordinaria scoperta archeologica: lo scheletro femminile noto come ST1, rinvenuto nel 1937 dall’archeologa Giuseppina Tricomi proprio nella Grotta di San Teodoro, ad Acquedolci.
A partire da questo dato storico, la narrazione si apre a un mondo sospeso tra realtà e immaginazione, dando voce a una doppia storia al femminile: quella di Thea, nome attribuito informalmente allo scheletro, e quella della stessa Tricomi, due donne distanti millenni ma legate da una simbiosi ancestrale, da una comune lotta per la sopravvivenza e l’autodeterminazione.
Come spiega il regista, che arriva al debutto teatrale dopo anni nel cinema documentario, “sono partito dalla realtà per poter spiccare il volo con la fantasia”. Monterosso mette in scena, come voleva la stessa Romeo, un racconto che non pretende di essere un’opera scientifica, ma un viaggio poetico ed emotivo, capace di rievocare il mistero che ci unisce al nostro passato e ci ricorda che gli esseri umani di 15.000 anni fa erano persone come noi: con un’anima, un gusto estetico, delle speranze.
“Vorrei che fosse chiaro a chi deciderà di venire a vedere lo spettacolo che non si tratta di un’opera biografica o di un saggio” aggiunge Monterosso, “ma un racconto che utilizza nozioni storiche per raccontare ciò che è impalpabile, indefinito, ma che esiste: il mistero che fa parte delle nostre vite anche oggi”.
“È un’idea che mi ha letteralmente abitato per mesi. L’immagine di quella donna, ritrovata integra dopo oltre quindici millenni, mi ha spinto a interrogarmi su cosa potessero essere stati la sua vita, i suoi pensieri, le sue emozioni.” ha detto Marina Romeo alla stampa locale. “Ho sentito il bisogno quasi fisico di darle una voce, di immaginarla non solo come un reperto archeologico, ma come essere umano, donna, madre, parte di un gruppo. Ho iniziato a studiare: archeologia, paleontologia, antropologia. Volevo che ogni dettaglio fosse verosimile, ma soprattutto volevo costruire un racconto emotivo, universale, capace di parlare anche a noi contemporanei.”