domenica, Dicembre 15, 2024

Palermo, la Procura riapre l’inchiesta sulla morte del maresciallo Antonino Lombardo

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La Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia ha riaperto le indagini sulla morte del maresciallo dell’arma dei Carabinieri Antonino Lombardo, trovato morto con un colpo di pistola alla tempia la sera del 4 marzo 1995 nella sua auto, nel cortile della caserma Bonsignore a Palermo.

Una lunga battaglia portata avanti da Fabio e Rossella Lombardo, figli del maresciallo del Ros, che non hanno mai creduto alla tesi del suicidio del padre, così come concluse, invece, la prima inchiesta aperta sulla morte del maresciallo Lombardo, archiviata nel 1997. Poi nel 2015, la Dda di Palermo aveva ripreso in mano quel fascicolo, dopo che il figlio Fabio si era recato in Procura per consegnare dei documenti rilevanti. Ma nel 2018 anche questa inchiesta è stata archiviata. Adesso, sulla scorta di due perizie, una balistica, curata dall’esperto Gianfranco Guccia e l’altra grafologica, redatta da Valentina Pierro sulla lettera d’addio trovata nell’auto del maresciallo Lombardo quella sera, i figli di Lombardo hanno nuovamente messo nero su bianco tutti i loro dubbi, le stranezze e le incongruenze sulla morte di loro padre e per il tramite del loro legale di fiducia, hanno presentato un nuovo esposto alla Procura lo scorso settembre. Le perizie dimostrerebbero che l’arma che ha sparato il colpo non era quella di ordinanza di Lombardo e che la lettera non fu scritta da lui. Dubbi, inoltre, sono emersi sulla traiettoria del proiettile che causò la morte del carabiniere. I figli di Lombardo, ascoltati anche dalla commissione parlamentare antimafia della precedente legislatura, e oggi assistiti dall’avvocato Salvatore Traina, hanno sempre sostenuto che ci sono punti oscuri sulla morte di loro padre e chiedono la riesumazione della salma, per eseguire accertamenti tecnici che al momento della morte non furono fatti.

Antonino Lombardo, nato e cresciuto a Mistretta, prima comandante della caserma di Terrasini, profondo conoscitore delle dinamiche criminali di “cosa nostra” dell’epoca e del territorio, e poi in forza al Ros, era considerato punto di riferimento ed esperto nella lotta alla criminalità organizzata anche da Paolo Borsellino. Prima di morire era andato negli Stati Uniti, dove aveva incontrato il boss di Cinisi, all’epoca detenuto, Gaetano Badalamenti. Si era aperta la possibilità che il boss potesse tornare in Italia, per testimoniare al processo per la morte del giornalista Mino Pecorelli. L’operazione, invece, saltó. Fu accusato, infatti, in maniera indiretta, di essere colluso. Poco prima di morire Lombardo aveva annunciato alla vedova di Paolo Borsellino che le avrebbe portato i responsabili della morte del magistrato su un piatto d’argento. Ma nessuno sa se Lombardo avesse imboccato una qualche pista per trovare i responsabili della Strage di Via D’Amelio. I documenti che teneva custoditi in caserma e la sua ventiquattrore, secondo quanto raccontato dai familiari, sarebbero, infatti, svaniti nel nulla subito dopo la sua morte.

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