mercoledì, Dicembre 11, 2024

Capo d’Orlando – “La violenza della porta accanto”, l’aggressione subita da un povero indigente

Capo d'Orlando villetta comunale-min

Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviataci da Antonella Giardinieri, attrice, autrice, sceneggiatrice e Vice presidente dell’Associazione “Abbraccialo per me”, da tempo residente a Capo d’Orlando.

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Antonella Giardinieri

“Nieri” racconta, con uno splendido stile, che mal combacia con quanto accaduto, di un aggressione subita da un uomo fragile, preso di mira da un gruppo di ragazzi lo scorso sabato sera.

L’uomo, che nella lettera viene chiamato “Carlo”, nome di fantasia, è molto conosciuto a Capo d’Orlando. E’ seguito dai servizi sociali, a causa della sua condizione di indigente.

Il sindaco Franco Ingrillì, da noi contattato telefonicamente, ha confermato che il comune ha sporto denuncia contro ignoti per i fatti incresciosi accaduti.

Di seguito la lettera integrale.

“Sabato sera un gruppo di ragazzi ha preso di mira un uomo fragile. E non stiamo parlando dei fatti di Palermo, ma qui nell’isola pedonale orlandina.

Lo chiameremo con un nome di fantasia, Carlo.

L’episodio è stato filmato da due giovani ragazze. In attesa che i fatti vengano chiariti ci poniamo d’istinto qualche domanda e facciamo qualche considerazione.

Cosa può spingere un gruppo di ragazzi, di un tranquillo paese sul mare come Capo d’Orlando, dove il clima ci invita a fare il bagno, a sdraiarci al sole, a passeggiare, a correre, a pescare, a meditare.

Dove solo a guardare le Eolie, tutte le mattine, che ci sbattono in faccia la loro indiscussa bellezza, dovrebbe ricordarci chi siamo e qual é la nostra memoria, la nostra storia.

Cosa spinge un gruppo di ragazzi sull’isola pedonale dove si riuniscono tutti e con i locali pieni di persone che hanno visto, ad Inveire e a Provocare una PERSONA come Carlo.
Carlo. Proprio lui.

In paese lo conosciamo tutti. È uno splendido uomo di circa 38 anni.

Vive scompagnato. Non ha nessun familiare che si occupi di lui, é seguito dai servizi sociali. È profondamente solo.

Vaga in giro per il paese con la speranza che accada qualcosa, con la voglia di parlare con qualcuno. A volte é nervoso, verissimo.

È un pó fuori di testa d’accordo.

Ma sfiderei chiunque a non esserlo nella sua condizione.

E comunque questo è Carlo. È uno di noi. Fa parte della nostra comunità orlandina.
Certo stiamo parlando di uno dei bersagli migliori per distrarsi da una noiosa serata!
Proprio lui. Quello che due ragazze hanno ripreso con il cellulare davanti al bar sull’ isola pedonale, accompagnato da commenti inappropriati che le stesse, inconsapevolmente hanno registrato.

È pazzo! Pare sia stato in Prigione. Guarda é un incontro di pugilato!
E cosa spinge due ragazze a filmare, assistere all’evento, tragico, triste, disumano  lontano da ogni commòs, da ogni Pietas, senza INTERVENIRE?
C’è qualcosa che non torna.

C’è qualcosa di torbido, di marcio, che sa di inconsistenza della coscienza e dell’esistenza, che sa di vuoto e di rappresentazione delle emozioni.

“Non le vivo mi accontento di filmarle, commentarle e poi farle girare affinché diventino virali. Questo è osceno. Cosa vogliamo fare? Formare un esercito di mostri? O un esercito di “spìuni”?

U spìuni é una figura che é sempre esistita e che si riconosce soprattutto in tempi di carestia, pandemia, disagio sociale, guerre.

Sempre pronto ad occuparsi della vita degli altri, spiandone i movimenti e a coglierne in fallo le fragilità per poi denunciare Non l’INGIUSTIZIA  ma l’effetto perverso, quello che in tempi di controllo sociale e di pensiero unico, viene persino riconosciuto con una stellina da sceriffo o una medaglia al valore dell’inutilità.

E u spìuni di oggi soddisfatto mostra la sua stellina come fiore all’occhiello sui social,  la tua storia… anzi no.

Quella degli altri.

È necessario dare un segnale forte affinché non passi il messaggio che essere bestie sia tutelato da qualsiasi legge morale o scritta.

Non lo è. Essere bestie significa inveire contro le persone che non possono difendersi e spingerle a loro volta a diventare delle altre bestie. Significa non avere discernimento perché nessuno ci ha mostrato cos’é.

Significa che la nostra sensibilità é regredita allo stato brado.

Significa che non ci appartiene un’etica. Significa aver dimenticato cosa sia un Uomo.
A ciascuno dei ragazzi e ragazze del video chiedo: e se Carlo fosse stato tuo fratello, tuo figlio, tuo zio, tuo padre?

Avresti fatto la stessa cosa?

O avresti provato a proteggerlo, lasciandolo semplicemente in pace?

Non lo avresti messo a rischio così, con tanta superficialità! Perché nel malaugurato caso fosse accaduto qualcosa che potesse valicare il limite e di questi tempi, ci vuol così poco, il nostro amico Carlo avrebbe pure rischiato la sua rispettabile libertà. E sarebbe stato liquidato con un semplice “é pazzo”, che non é un termine ottocentesco ma rimane in auge ancora adesso, nel senso pericoloso del termine non nella sua accezione migliore, come dice nel video la ragazza. E voi, se fosse andata bene, ve la sareste cavata con la certezza che quella si chiami giustizia.

Ma veramente volevate fare il pugilato con Carlo? E perché proprio con lui?
Una persona fragile non ha bisogno di ulteriori angherie, più di quelle che la vita non gli abbia già inflitto. Non ha bisogno di giudizi né di essere schernita, e neanche di essere calpestata o ferita nella dignità di essere umano. Ha bisogno di essere protetta da tutti noi che siamo la sua comunità e questo vuol dire anche prevenire il disagio. In fondo, un pochino per uno non può che renderci migliori.

L’associazione Abbracciarlo per me insieme ad altre associazioni di volontariato del luogo hanno chiesto un incontro con il tutore di Carlo, il comune, che ha espresso la volontà di voler procedere presentando denuncia alle autorità competenti. Sono certa che prendendo una posizione netta e chiara questo episodio rimarrà isolato e si spera non debba più ripetersi.

L’associazione nazionale di persone con patologie psichiatriche e di familiari, per la promozione della salute mentale “Abbracciarlo per me” già da qualche anno si impegna contro lo stigma in  progetti di alternanza scuola/lavoro per sensibilizzare gli studenti.
Inoltre sta lavorando, non con poche difficoltà, alla nascita di un centro di ascolto.
Infine uno degli obiettivi dell’associazione é quello di aprire uno spazio diurno libero dove possano svolgersi attività non solo ricreativa, di socializzazione e di inclusione ma anche di formazione lavorativa e/o creativa. Significherebbe dare una chance a chi non é ha già in partenza.

Anzi a chi crede di non poter neanche partire o ripartire.
Un sogno, che spezzerebbe o allenterebbe le maglie di una catena lunga una vita per dare sollievo a chi la subisce e alle loro famiglie condannate al dolore e al Non Avere Un Cambio Turno.

Mai.”

Antonella Giardinieri

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