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Coronavirus – Palermo: due rianimatori di Villa Sofia positivi al covid-19. La denuncia del “CIMO”

amnotizie390100x
  • coronavirus, dispositivi protezione, positivi, villa sofia
  • Aprile 2, 2020
  • 08:47
  • Immagine di Valentina De Caro scritto da Valentina De Caro
“Gli ultimi casi all’ospedale Villa Sofia di Palermo: due medici della Rianimazione — marito e moglie — sono risultati positivi. Lui è ricoverato in gravi condizioni, lei in isolamento a casa. Se siano stati contagiati in corsia o altrove non è dato saperlo. Di certo è stato necessario sottoporre a tampone i figli, i colleghi, i pazienti. I reparti sono stati sanificati. Perché il contagio galoppa soprattutto nelle strutture ospedaliere: a Villa Sofia-Cervello sono già sei i sanitari positivi (oltre ai rianimatori, una pediatra di pronto soccorso, un ortopedico pediatrico, un ginecologo, un infermiere di Otorinolaringoiatria). Positivo è un rianimatore del Policlinico di Palermo. Positivi sono tre medici del pronto soccorso di Siracusa, una decina di sanitari dell’ospedale di Sciacca, un cardiologo di Agrigento, tre camici bianchi di Caltagirone. Un medico di famiglia di Riesi è tra le 88 vittime. I dati ufficiali dei sanitari li conosce solo l’Osservatorio epidemiologico della Regione. Ma è certo che la maggior parte dei contagi avviene nei reparti “non-Covid”.”
La nota di denuncia è stata pubblicata questa mattina sulla pagina facebook del CIMO, sindacato dei Medici che così ha commentato la notizia di ieri circa la positività di due medici del reparto di rianimazione dell’ospedale Villa Sofia a Palermo. Testimonianze di chi sta vivendo questa emergenza in prima linea, come medici, infermieri, radiologi e autisti soccorritori, e che senza peli sulla lingua, racconta il dramma degli operatori sanitari siciliani, sprovvisti dei giusti dispositivi di protezione.

“I dispositivi di protezione arrivano con il contagocce. E quelli che arrivano dalla Protezione civile nazionale spesso si sono rivelati inservibili. Come le 57mila mascherine appena recapitate all’Ordine dei medici di Palermo e “non idonee all’uso sanitario”, su ammissione dello stesso commissario nazionale per l’emergenza. Eppure i medici e gli operatori continuano a lavorare. Li vedi imboccare gli anziani nei reparti, come si è ritrovata a fare Cecilia Le Moli, 47 anni, geriatra all’Ingrassia di Palermo e rappresentante sindacale Cimo: “Dall’8 marzo ai parenti è vietato entrare. Abbiamo più personale parasanitario ma con 25 ricoverati, tutti a letto, ci diamo una mano. Li facciamo mangiare, li puliamo, li mettiamo in comunicazione con i parenti con i nostri smartphone”. E c’è chi si arrangia comprando a proprie spese mascherine e camici: “Siamo un reparto “non-Covid” — dice la dottoressa — ma non abbiamo la certezza di non avere positivi asintomatici o non essere noi stessi vettori, pur seguendo alla lettera le indicazioni”.

“Sandro Tomasello, 39 anni, anestesista al Covid hospital di Partinico e anche lui sindacalista, da due settimane non vede i due figli e la moglie: “Sono andato a vivere con un collega in un altro appartamento per non esporre al rischio contagio la mia famiglia”. Pure il lavoro è cambiato: “Facciamo turni anche di 12 ore, con tute, maschere e visiere dentro le quali si fa fatica a respirare e a fare le manovre rianimatorie”.

“In assenza dell’esito dei tamponi — che arrivano non prima di 48 ore — spesso sono i radiologi a fare la diagnosi attraverso la Tac. “A Villa Sofia — racconta il radiologo Giuseppe Bonsignore, portavoce Cimo — non dovrebbero arrivare pazienti con sintomi respiratori, eppure il 118 continua a inviarceli. L’infermiere che va in sala col paziente ha lo scafandro. Per gli altri ci sono mascherine chirurgiche, non idonee per il contatto con positivi. E spesso riutilizziamo quelle del giorno prima”.

“Va persino peggio agli autisti soccorritori della Seus 118. Per direttiva ministeriale, le mascherine filtranti vanno usate solo dal medico o dall’infermiere di bordo a contatto con il paziente. L’unica indicazione per i soccorritori è mantenere un metro di distanza dal malato. “Praticamente impossibile”, spiega Alessio Spina, 41 anni, in servizio nella postazione 118 del Cannizzaro di Catania e sindacalista Cisl. “Noi non stiamo solo al volante. Saliamo a casa dei pazienti, li sistemiamo sulle barelle, li trasportiamo. Sono pazienti fragili che vanno trattati con cura”. Ma non chiamateli eroi: perché — dicono — usare la retorica della guerra e dell’ineluttabilità del sacrificio è disonesto. “Non chiediamo più soldi — sbotta il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, Toti Amato — ma dispositivi di sicurezza. Per proteggere noi stessi, i pazienti, i nostri cari”.

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